martedì 21 luglio 2009

Fassino con Franceschini «per guardare avanti»

Sì a Franceschini perchè «dà le migliori garanzie di rilanciare il Pd come partito largo, che fa incontrare le storie del riformismo e del progressismo in Italia, un grande partito che unisce quello che la storia ha a lungo diviso». Sì al segretario attuale del Pd «perchè dà le maggiori garanzie di resistere a tentazioni di ripiegamento identitario».
Piero Fassino, coordinatore della mozione pro-Franceschini, nel bel mezzo di un tour de force nel Nord Italia (ieri ha fatto tappa a Brescia, Bergamo e Desenzano) ha diffuso il verbo franceschiniano in città. L’ha fatto nel giorno in cui il Comitato bresciano pro-Franceschini è uscito allo scoperto e ha presentato l’elenco dei primi 152 aderenti. Fra loro, tanti nomi di spicco del gruppo dirigente: il segretario politico Franco Tolotti, la sua vice Antonella Montini, il segretario organizzativo Riccardo Imberti, i capigruppo di Loggia e Broletto Del Bono e Peli e poi, fra gli altri, Rocco Vergani, Tommaso Gaglia, Sergio Arrigotti, Maurizio Billante, Dialma Cantaboni, Carlo Dall’Asta, Sofia Davolio, Vincenzo Filisetti, Ermanno Lancini, Giovanni Landi, Claudio Lazzari, Franco Maltempi, Dante Mantovani, Alberto Martinuz, Walter Muchetti, Leo Tedoldi, Giuseppe Ungari, e poi i sindaci di Quinzano, Castegnato, Verolavecchia, Orzivecchi, Saviore. Annunciata l’adesione del «cittadino», De Martin.
NEL PD ORMAI LA CONTA è aperta, e anche ieri nella sede provinciale c’era un discreto via vai di neo iscritti, anche se tutti assicurano che non ci sono rincorse «anomale» al tesseramento. I sostenitori di Bersani (stasera alle 21 alla festa democratica a Desenzano interverranno Filippo Penati, Paolo Corsini e Guido Galperti) rivendicano il vantaggio dei numeri: gli aderenti ... all’appello sono oltre 450, oltre 20 sindaci, la maggioranza dei membri del direttivo provinciale.
E all’appello manca ancora il grosso dei bindiani, che si schiereranno il 24 luglio, presente a Brescia la loro leader.
Fassino ieri ha «caricato» le truppe locali. Anzitutto ricordando che il congresso parlerà all’intero Paese: «Siamo l’unico partito nel panorama italiano che è capace di promuovere una riflessione di questa dimensione». Poi ricordando la valenza di un congresso in un momento di crisi come questo: «Il governo - sostiene Fassino - non ha nè la strategia nè la determinazione per

affrontare la crisi in modo adeguato. Tremonti aveva assicurato: "Mai più condoni" e con lo scudo fiscale lo ha rifatto». Secondo Fassino sarà il congresso del Pd a dover dare «un messaggio di speranza e di forza ai cittadini».
RESTA DA MOTIVARE la scelta pro-Franceschini. Fassino la butta un po’ sul personale e un po’ sul politico. «Dario - argomenta - s’è caricato sulle spalle il Pd in un momento particolarmente delicato. Non è un messaggio rassicurante quello che cambia continuamente il suo leader. Franceschini ha qualità umane e politiche per dirigere autorevolmente il Pd: ha tenuto la barra dritta sulla laicità, in Europa ha schierato il partito nel campo progressista, ha contenuti programmatici concreti». Ma soprattutto c’è l’idea sull’identità e sul posizionamento del Pd, che sta riassunta nelle parole-simbolo: fiducia, regole, qualità, uguaglianza, merito.
E la forma-partito? «Diciamo sì - insiste Fassino - a un partito vero, strutturato, radicato nella società, non un semplice comitato elettorale, che abbia un rapporto con la società fortemente innovatore, e confermi le primarie nella scelta del segretario nazionale».
Fassino definisce «scenari politologici fondati sul nulla» quelli che prevedono un verdetto congressuale sovvertito dalle primarie. «Un segretario eletto alla fine di un congresso che mobiliterà centinaia di migliaia di iscritti e milioni di cittadini sarà un segretario fortissimo», sostiene.
Quanto alle alleanze. Fassino rivendica al Pd il merito di aver portato in Italia «un sistemo politico bipolare di tipo europeo, in cui ciascuno dei due schieramenti è guidato dal partito di gran lunga prevalente. e non è in discussione il fatto che il leader della coalizione sia quello del partito che ha vinto». Per Fassino si tratta di lavorare fra le forze oggi all’opposizione per verificare «se siamo in grado di costruire una coalizione di governo la cui guida non potrà che essere quella del Pd». Scenario assai diverso rispetto alla riedizione di una coalizione ulivista (a probabile guida moderata) a cui lavorano i bersaniani.

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