domenica 11 ottobre 2009

«Che gruppo dirigente è quello che teme i suoi elettori? No al partito identitario, non possiamo tornare indietro»

Dario Franceschini non abbozza ma rilancia. E punta tutto sulle primarie. Dopo che il voto degli iscritti ha assegnato la maggioranza assoluta dei consensi al suo avversario Pierluigi Bersani, il segretario del Pd è tutt’altro che arrendevole.
Doppiata l’ininfluente convention nazionale di domani - che non farà altro che aprire la strada delle primarie a lui, Bersani e Marino - tutta l’attenzione è già sull’appuntamento del 25 ottobre. Una grande affluenza alle urne è la pre-condizione perchè Franceschini possa sperare di ribaltare la situazione, e su una grande affluenza Franceschini punta drammatizzando l’evento, equiparando le primarie a una manifestazione anti-Berlusconi: «Nei congressi di circolo - dice - hanno votato 467mila iscritti. Se il 25 ottobre a loro dovessero aggiungersi 1 o 2 milioni di elettori sarebbe un male? Tutt’altro. Se verrà tanta gente a votare darà più forza a chi guiderà il partito, chiunque egli sia, e più gente voterà più avremo le spalle robuste per opporci alla destra e tornare a vincere». Franceschini guarda apertamente anche «a quelli che alle europee hanno votato per Di Pietro. Sono delusi per amore, ma sono ancora interessati al Pd». E a chi per calcoli interni spera in un’affluenza modesta, il segretario ribatte: «Di cosa dobbiamo avere paura? Dei nostri elettori? Ma che gruppo dirigente è quello che ha paura dei propri elettori? Sono loro i nostri azionisti».
FRANCESCHINI ha spronato le sue truppe bresciane ieri sera nell’auditorium degli Artigianelli dopo aver incontrato i lavoratori dell’Ideal Standard in via Milano. Il comizio conclusivo (introdotto da Franco Tolotti e da Marina Berlinghieri, presente in sala il gruppo dirigente franceschiniano al gran completo, da Imberti a Rebecchi, da De Martin a Rosini) ha mostrato un ...
Franceschini più tonico che in altre occasioni.
Dopo l’ovvio appello a non trasformare la vicenda congressuale in guerra fratricida Franceschini ricorda che dopo le primarie «scontate» di Prodi e Veltroni questa sarà la prima sfida vera, aperta.
Poi c’è il riferimento al quadro del Paese: «Sto incontrando - dice il segretario Pd - un’Italia che non si fa vedere in tv. Persone che non ce la fanno, aziende in crisi. Il governo cerca di nascondere i problemi, e chi protesta lo fa perchè qualcuno si accorga di lui. Questo dimostra che la libertà di informazione è fondamentale». I nodi - dalla crisi economica alla «vergogna» dei precari della scuola «a zero euro» - per Franceschini stanno venendo però al pettine. «La gente - aggiunge - ci chiede più opposizione e non meno opposizione», perchè «non significa essere antiberlusconiano o antiitaliano dire che lo scudo fiscale è una vergogna o che gli organi di garanzia vanno difesi». C’è spazio anche per un mea culpa: «La nostra opposizione deve essere più intransigente, più dura. Non dobbiamo più accedere a tregue più o meno dichiarate, ai pasticci che 12 anni fa non ci hanno permesso di fare la legge sul conflitto di interessi».
POI IL SEGRETARIO apre il capitolo-chiave sul Pd: «Non possiamo tornare indietro. Non è possibile che alla prima difficoltà si rimetta tutto in discussione. Non si torna indietro dal bipolarismo e dall'alternanza di governo, per cui quando voti voti un partito, una coalizione e chi la guida. Non va bene una riforma elettorale per cui dopo il voto non si sa come uno si regolerà». Ritorno al passato sarebbe, per Franceschini, anche tornare a un partito «identitario»: «Gli elettori non ne potevano più di vederci contrapporci sulla base di distinzioni del secolo scorso. I giovani stanno nel nostro campo anche senza avere sulle spalle le gloriose casacche del secolo scorso». Sì dunque a un partito fatto di «diversità», «che valorizza gli iscritti ma si apre agli elettori». Attraverso le primarie, appunto.
Infine, l’ultimo caposaldo: «Se accettiamo di inseguire la destra sul suo terreno non la batteremo mai. Obama e Sonia Gandhi non hanno corretto le linee di destra, le hanno battute mettendo in campo valori alternativi». Da qui il proposito di «accettare anche battaglie difficili, come quelle sull’immigrazione e il fisco», e l’invito a «smetterla di dire le cose a metà per dire invece le cose chiaramente». Qualche esempio? «No al nucleare, basta con la commistione sanità-politica, sì al cambiamento della classe dirigente. E dunque no a Bassolino candidato sindaco a Napoli». L’ultima enunciazione è una sfida: «Non mi candido per garantire equilibri interni o fare ordinaria manutenzione del partito. Nelle nostre mani sta la possibilità di rompere incrostazioni, contrastare i poteri forti. Solo così cambieremo il paese».
Fonte: BresciaOggi

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