venerdì 23 ottobre 2009

La scelta rivoluzionaria.

Cominciamo parlando di primarie. Perchè c’è un punto che credo occorra sottolineare con forza, ora più che mai: le elezioni con cui il 25 ottobre saranno scelti i segretari nazionale e regionali del Partito Democratico non sono soltanto una questione che riguarda gli equilibri interni a un partito o allo schieramento di centrosinistra.
Fra il trambusto e le punzecchiature che inevitabilmente accompagnano una competizione aspra per la leadership, penso sia andata un po’ offuscandosi la portata rivoluzionaria dell’evento, e uso l’aggettivo senza metterlo tra virgolette.
E’ la prima volta assoluta che in Italia un partito decide di affidare la selezione della sua classe dirigente alla democrazia nella sua forma più diretta e partecipata, invitando al voto tutto il suo elettorato, senza preclusioni. Siamo evidentemente un passo avanti all’esperienza delle primarie che portarono alla candidatura di Romano Prodi presidente del consigliom ma siamo un passo avanti anche rispetto alle primarie che elessero Walter Veltroni primo segretario del Pd, in cui il peso dei partiti fondatori e delle loro personalità di punta era necessariamente predominante rispetto alla differenziazione delle proposte politiche. Queste primarie, infatti, si celebrano in un momento in cui molti si interrogano seriamente sulla qualità
degli spazi di democrazia a disposizione dei cittadini nel nostro Paese, e su quanto sia da temere il pericolo di un progressivo restringimento di questi spazi.
Il contesto politico nazionale offre uno scenario in cui la dialettica tra le parti sembra trasformata in tumulto, sul quale ambisce pericolosamente a ...
imporsi la voce del presidente del consiglio. L’appello al popolo che sempre più spesso ricorre nelle frasi di Berlusconi non è un’innocua rivendicazione del consenso che ha permesso alla destra di vincere le elezioni e di governare legittimamente l’Italia. L’elemento perturbante è nella pretesa di instaurare un rapporto diretto tra il popolo e il suo capo, secondo uno schema antropologicamente e storicamente già conosciuto e sperimentato.
Non a caso, Berlusconi evita scrupolosamente di riferirsi non solo al Parlamento, se non con il fastidio che si riserva a un noioso intralcio, ma addirittura ai partiti che sostengono il suo governo.
Tutto viene avocato a uno solo, il quale si occupa del Paese con saggezza e lungimiranza, come un buon padre di famiglia. Il termine non casuale. In questa visione e nell’azione che ne consegue, qualsiasi voce stonata è intollerabile e assimilata al tradimento, dalla Corte costituzionale al Presidente della Repubblica, alla stampa italiana fino a quella straniera.
L’obiettivo è proporre l’immagine di un capo che si identifica con la Nazione, cosicchè ogni critica rivolta a lui risulta essere una ferita inferta a un’Italia accerchiata da ostilità esterne e insidiata da disfattisti interni. E’ importante soffermarsi a capire l’attuale fenomeno Berlusconi. Perchè credo che se abbiamo una visione chiara di ciò che sta accadendo e delle modalità in cui si esplica, sapremo anche qual è il compito che spetta a un partito che vuole porsi come perno dell’opposizione democratica al pericolo di una deriva autoritaria.
E così torniamo alle primarie come antidoto al populismo autoritario. Il Partito democratico, infatti, propone un modello alternativo ai discorsi dal balcone o dal predellino, e riconsegna al cittadino elettore un potere deliberativo reale e immediatamente fruibile nell’ambito di norme certe.
Questa la ragione fondativa e strutturale per cui le primarie del Pd, in sè, rappresentano una forte opzione di opposizione.
Tra le sfumature più o meno intense di chi in queste primarie si è messo in gioco, io ho ritenuto di stare con quella mozione che mi sembra rispecchi più fedelmente l’ispirazione originaria da cui è scaturito lo strumento delle primarie, e quindi il concetto di partito che naturalmente ne deriva.
Ho sostenuto Dario Franceschini perchè mi ha dato garanzia che le primarie sarebbero rimaste aperte a tutti, così come aperto sarebbe stato il partito, al contributo delle forze della società ma anche alla sfida del mettere in gioco senza paracadute la dirigenza. Non mi pare poco, come miccia per innescare il cambiamento di cui abbiamo bisogno, se vogliamo cominciare a scalfire il consenso di Berlusconi. Perchè l’emergenza è questa. Un’emergenza che deve farci riflettere già da ora su che fare il giorno dopo. Non credo che possiamo permetterci di allungare ancora i tempi di questo già lunghissimo congresso:
prendiamo il meglio del nostro dibattito interno, riconosciamo la portata politica del voto delle primarie e segretario sia chi prende più voti.
Dal 26 ottobre si apre la strada che porta nel 2010 alla tornata elettorale delle regionali. Berlusconi sta già scegliendo i suoi candidati. Pensiamo di continuare a meditare sulla nostra identità, oppure vogliamo decidere di essere noi a prendere il toro per le corna?
Fonte: Debora Serracchiani

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